Contrasto alla Pesca di Frodo

Il bracconaggio ittico in acque interne, praticato ormai da secoli in Italia e da sempre legato a necessità alimentari e a situazioni di disagio economico, ha negli ultimi tempi avuto una incredibile espansione per il concatenarsi di due fatti verificatisi alcuni anni fa a breve distanza l’uno dall’altro:

  • l’apertura di linee commerciali per la vendita di alcune specie di pesce di acqua dolce (principalmente carpe e siluri), mai commercializzate in precedenza;
  • l’arrivo in Italia di numerosi rappresentanti di una etnia di antica origine russa (lipoveni) che, per dedicarsi alla pesca, con mezzi spesso illegali, si è dapprima stabilita per molti anni in Romania, nella zona del delta del Danubio, e in seguito nei nostri territori.

Le cause alle quali va addebitato il verificarsi dei due eventi sopra elencati vanno ricercate nel notevole incremento del numero di immigrati provenienti dai paesi dell’est e dalla Cina, da sempre estimatori e consumatori delle suddette specie di pesce (da cui la conseguente possibilità di dar vita ad un loro mercato) e nell’istituzione e riconoscimento come patrimonio mondiale dell’umanità, da parte dell’UNESCO, del Parco del Delta del Danubio, con conseguenti forti restrizioni alle possibilità di pesca e, in particolare, di quella illegale, che ha costretto coloro che la praticavano ad emigrare per trovare nuovi sbocchi ai loro traffici.

Una vera e propria catastrofe ! Per questi predoni l’arrivo nel nostro Paese si è dimostrato, infatti, essere una splendida cuccagna: fiumi pieni di pesci che nessuno fino a quel momento aveva mai pensato di pescare e commercializzare (neanche i nostri, pochi, pescatori professionali), un ricco mercato nazionale che qualcuno molto poco “illuminato” aveva pensato bene di aprire loro, la possibilità di esportare nelle nazioni dell’est gran parte del pescato da vendere poi nei mercati locali a prezzi sicuramente molto vantaggiosi, la mancanza di controlli capillari da parte delle nostre forze dell’ordine, non abituate e quindi impreparate a contrastare questo tipo di reati, compiuti fino a quel momento da singoli individui o da bracconieri “all’acqua di rose” e non da bande criminali perfettamente organizzate e efficienti, il progressivo smantellamento della Polizia Provinciale legato alla confusione venutasi a creare dopo l’esito del referendum.

Tutto ciò ha fatto sì che questa piaga, partita inizialmente dalla zona circostante il delta del Po, si sia purtroppo ormai allargata a macchia d’olio fino a interessare quasi tutto il nostro territorio nazionale. Bande di veri predoni stanno infatti sistematicamente rastrellando, notte dopo notte, i nostri fiumi, laghi e canali con qualsiasi mezzo illegale come reti, corrente elettrica e quant’altro, flotte di camioncini solcano quasi quotidianamente le nostre autostrade in direzione dei Paesi dell’Est, depositi illegali per l’immagazzinamento e la sfilettatura del pesce appaiono e scompaiono sul nostro territorio in base alle esigenze.

Al progressivo depauperamento dei nostri fiumi e canali si somma poi il sempre crescente problema della sicurezza pubblica, fortemente messa in dubbio da comportamenti aggressivi e spavaldi tipici di chi si sente più forte di tutti e al di sopra della legge. E qua emerge chiaramente la grave carenza della legislazione italiana che nel caso della pesca, al contrario di quanto avviene per la caccia, non considera i pesci come bene indisponibile dello Stato e quindi prevede pene e sanzioni molto più leggere al punto tale da non riuscire a scoraggiare atti di bracconaggio reiterati.

Per non parlare poi dei giganteschi problemi di sicurezza alimentare che si possono presentare ai consumatori dato che il pesce immesso in commercio proviene, quasi sempre, da acque fortemente inquinate e ricche di metalli pesanti estremamente nocivi per l’organismo umano (e ciò sia che il pesce venga mangiato direttamente, sia che venga utilizzato per produrre farine di pesce impiegate poi per nutrire altri animali che finiscono sulle nostre tavole. Quindi, un insieme di gravi problemi che vanno da quello ambientale, a quello sulla sicurezza, da quello sanitario a quello economico (ovviamente la stragrande maggioranza dei traffici è, come è ovvio, in nero), problemi che fanno del bracconaggio ittico una delle calamità che il nostro Paese non può più assolutamente trascurare.

Qualche passo avanti nel contrasto a questo fenomeno è stato fatto, grazie all’impegno della FIPSAS, in sede parlamentare, con l’introduzione dell’art. 40 al Collegato all’Agricoltura che prevede, in caso di pesca di frodo o con attrezzi o metodi non consentiti, anche il sequestro di mezzi e attrezzature da pesca. Purtroppo questo ancora non basta.

Sarà quindi necessario continuare la nostra battaglia non solo sulle rive dei fiumi e dei vari corsi d’acqua e laghi, battaglia che i nostri e altri volontari combattono quotidianamente per cercare di limitare al massimo i danni, ma, cosa più importante, nelle aule parlamentari per far sì che la legislazione consideri questo reato come penale, che inasprisca al massimo le sanzioni a questo bracconaggio ittico organizzato e che, principalmente, chiuda la pesca professionale in tutti corsi d’acqua che non siano i grandi laghi.

Questo è l’impegno che la Federazione ha preso a difesa della pesca ricreativa e dell’ambiente naturale nel quale si pratica, questo è ciò che intendiamo portare avanti con tutte le nostre forze e convinzioni, questa è la battaglia che deciderà del futuro della pesca in Italia.