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COMUNICATO CONGIUNTO FIPSAS - FIOPS

SENZA L’APPROVAZIONE DEL DDL 1335/2019 E SENZA UN ULTERIORE PROVVEDIMENTO NORMATIVO DI RIQUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL REATO DI BRACCONAGGIO ITTICO, LA PESCA SPORTIVA IN ACQUA DOLCE E TUTTO IL SUO INDOTTO ECONOMICO SONO A RISCHIO. QUELLE ASSOCIAZIONI CHE PENSANO IL CONTRARIO LAVORANO CONTRO GLI INTERESSI DEI PESCATORI SPORTIVI ITALIANI.

Da anni le acque italiane ed europee sono oggetto di atti predatori da parte di associazioni a delinquere organizzate, che hanno creato un business da milioni di euro in attività di bracconaggio ittico che si basano sul prelievo quotidiano, condotto in maniera illegale, di tonnellate di pesce da ogni bacino d’acqua, fiume, canale, lago sparsi in ogni parte d’Italia.

L’attività di queste organizzazioni è iniziata nel delta del Danubio da dove, dopo che i loro Governi hanno adottato severe misure a contrasto dì tali attività criminali, si è spostata, dapprima nell’areale del fiume Po, e poi a tutta Italia e nel resto d’Europa.

Associazioni organizzate, principalmente di matrice dell’est Europa, stanno infatti catturando nelle acque italiane grosse quantità di risorsa ittica per mezzo di metodi illegali quali l’utilizzo improprio di chilometri di reti abusive o della corrente elettrica. Il pesce catturato viene quindi trasferito, esclusivamente sulla base di un’autocertificazione, con controlli sanitari di dubbia tracciabilità e in deteriori condizioni igieniche, in centri di lavorazione dai quali viene infine illegalmente immesso nella filiera alimentare per cui finisce sulle tavole di molti consumatori, anche italiani, spesso inconsapevoli della pericolosità di quello che consumeranno.

Il bracconaggio ittico non rappresenta una piaga solo per la filiera alimentare, ma soprattutto per i nostri ecosistemi, per la pratica della pesca sportiva e ricreativa nel nostro paese e per la tenuta del suo indotto. Numeri, quelli del settore della pesca sportiva, che sono - più di ogni altra cosa - esaustivi. Nel nostro paese, infatti, i pescatori sportivi e ricreativi sono stimati in oltre 2 milioni di unità ed oltre 100.000 persone praticano ogni anno attività agonistiche legate al settore della pesca sportiva.

Sono presenti, inoltre, circa 1500 punti vendita specializzati nella pesca sportiva e 1000 punti vendita generici che trattano anche la pesca sportiva, con una manodopera impegnata nella produzione, importazione e distribuzione all’ingrosso, commercio al dettaglio e servizi in genere, di circa 15.000 unità.

Al giro d’affari del settore, per un volume di circa 400 milioni di euro (solo accessori), deve essere aggiunto il giro di affari dell’indotto che è stimabile in circa 2,8/3 miliardi di euro e comprende le spese sostenute da ogni pescatore per spostamenti, pasti, pernottamenti, barche, carburanti, permessi, manutenzioni, etc.

Il Disegno di legge n.1335/2019, approvato all’unanimità dalla Commissione Agricoltura del Senato, introduce una necessaria modifica all’art. 40 della legge n. 154/2016 che ha introdotto il reato di bracconaggio ittico. Il DdL prevede, infatti, un irrigidimento delle sanzioni in materia di bracconaggio ed un generale divieto della pesca professionale nei fiumi e nei canali italiani, consentendo però la pesca professionale in molte acque dolci, cioè in tutti quei bacini dove storicamente ha una tradizione, un indotto economico ed una filiera enogastronomica da preservare, ed anche in tutte le acque salmastre e lagunari dove operano usualmente i pescatori di professione. Per capirci, oltre che nelle acque lagunari e salmastre, si potranno continuare a calare reti e nasse in tutti quei laghi italiani dove la pesca professionale ha una rilevanza evidente e dove era già precedentemente esercitata in base alle rispettive normative territoriali.

Da molti mesi appaiono sistematicamente su alcuni quotidiani locali dichiarazioni che lanciano allarmi a favore della tutela del mondo della pesca professionale nei fiumi e canali Italiani. Di questo ne siamo rimasti attoniti e perplessi. Veramente qualcuno nel 2020 può pensare che sia sostenibile l’uso di reti o nasse per un prelievo industriale di risorsa ittica, in modo indiscriminato e senza limite di quantità, nel bacino del fiume Po o in corsi d’acqua o canali dove ci sono evidenti problemi d’inquinamento da metalli pesanti o che davvero ritenga che questo rappresenti un’attività professionale tipica del nostro territorio o la salvaguardia di tradizioni culturali?

Non abbiamo alcuna intenzione di cadere nella trappola di chi mette in circolazione falsi allarmi. La pesca professionale tradizionale e le relative attività virtuose non vengono, infatti, assolutamente coinvolte dalla nuova normativa. E’ di comune conoscenza ormai che il pescato proveniente dalle acque dolci, uniche interessate dal provvedimento in oggetto, e più specificatamente dall’areale del Po, da canali e da fiumi di tutto il territorio nazionale, serve esclusivamente ad alimentare il traffico illecito di stampo industriale, principalmente  indirizzato verso i paesi dell’est Europa, traffico ormai contrastato con fermezza da tutte le Forze di Polizia comunitarie, così come riportato in molte cronache nazionali ed internazionali.

Un’eventuale revisione dell’elenco delle acque, se servirà, potrà essere fatta dopo l’approvazione definitiva del DdL n.1335/2019 (a prima firma del senatore Bossi), con un apposito decreto del Ministero, senza mettere a rischio l’approvazione di un provvedimento atteso da tempo e estremamente necessario. Ma adesso non troviamo più scuse. In questa fase evitiamo di apportare alla Camera modifiche al testo affinché non debba tornare al Senato per essere di nuovo discusso, allungando i tempi di approvazione definitiva e l’entrata in vigore di un provvedimento necessario, in mancanza del quale l’intero settore italiano della pesca sportiva e ricreativa è a rischio. Così com’è a rischio la tenuta dei nostri ecosistemi che negli ultimi anni sono stati depauperati di oltre il 50% degli stock ittici.

Inoltre recentemente i carabinieri forestali di Rovigo - attraverso un’accurata attività di indagine e grazie al supporto delle guardie volontarie FIPSAS - hanno scoperchiato una maxi organizzazione dedita alla pesca e al commercio abusivo individuando un caso di bracconaggio ittico di vastissime proporzioni con ramificazioni in mezza Italia. Purtroppo uno dei tanti casi.

È stata infatti messa a segno alcune settimane fa, l’operazione denominata ‘Gold River’ che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di quattordici soggetti, tra cui tredici di nazionalità rumena ed uno di nazionalità ungherese, strettamente correlati con i vertici dell’associazione criminale che da molti anni esercitava pesca di frodo in numerose regioni italiane. Dalle indagini è emerso un giro d’affari di decine di migliaia di euro mensili. L’operazione ha visto il sequestro di due immobili destinati alla lavorazione e stoccaggio di pesce d’acqua dolce e di cinque veicoli destinati al trasporto di prodotto ittico per lo più carpe e siluri, che venivano catturati con l’ausilio della corrente elettrica e che ha portato alla contestazione di reati gravi come l’associazione a delinquere, il maltrattamento di animali ed il bracconaggio ittico ed è stata inoltre configurata l’ipotesi di reato di frode in commercio, poiché nel corso dell’attività è stata rinvenuta documentazione falsa in merito alla tracciabilità del prodotto ittico, di cui in realtà non si conosceva l’origine.

L’attività di indagine è proseguita ulteriormente in questi giorni attraverso la notifica a otto individui di nazionalità italiana e a tre di nazionalità rumena, tutti pescatori di professione, residenti nelle province di Rovigo e Ferrara, di una sanzione per un importo di 42.000 Euro per violazioni all’art. 18 del Reg. (CE) 178/2002 che prevede l’obbligo di rintracciabilità dei prodotti alimentari destinati al consumo umano ed animale condotta sanzionata dall’art. 2 del D.Lgs. 190/2006 che prevede una sanzione pecuniaria di 1.500 Euro.

Non vogliamo generalizzare, ma i fatti parlano chiaro. La normativa in materia di pesca professionale nei fiumi deve cambiare.

La pesca sportiva e ricreativa nazionale, milioni di persone tra cui appassionati, liberi cittadini, sensibilità ambientali, aziende del settore e negozi specializzati, strutture turistico ricettive, ecc. chiedono con forza questa nuova normativa, attesa da tempo, indispensabile per mettere la parola fine al drammatico e odioso fenomeno del bracconaggio ittico nelle acque interne, a tutela della risorsa ittica, degli ambienti acquatici, dell’attività sportiva e a maggior riconoscimento della vera e sana attività professionale.

Preserviamo la vera e tradizionale pesca professionale nei laghi, nelle acque salmastre e lagunari. Contestualmente, togliamo alibi a quei bracconieri che si propongono come falsi pescatori professionali nascondendosi dietro ad una immeritata licenza.

Il Disegno di legge 1335/2019 è peraltro il primo passo. Serve infatti anche arrivare ad una riqualificazione giuridica del reato di bracconaggio ittico affinché non sia più qualificato come contravvenzione, ma come delitto, aumentandone l’efficacia deterrente e punitiva e consentendo l’arresto di quei bracconieri che oggi, nelle pieghe offerte dalla normativa vigente, agiscono sul nostro territorio. In tale direzione stiamo andando dopo l’incontro recentemente avuto con il Sottosegretario alla Giustizia on. Andrea Giorgis.

La lotta al bracconaggio dovrebbe vederci tutti impegnati e per questo chiediamo a tutti i pescatori sportivi e ricreativi italiani, a tutte le associazioni nazionali, a tutte le società di pesca, le aziende, i negozi, gli esperti, gli agonisti, le attività commerciali e le tante strutture ricettive legate al settore, una mobilitazione collettiva e straordinaria per difendere il nostro settore, per la pesca sportiva e ricreativa nelle acque dolci italiane e per debellare la piaga del bracconaggio ittico e della pesca illegale in genere.

Ci sorprendono, invece, prese di posizione di alcune associazioni, che credevamo fossero formalmente estinte, come la FIPO che si è dichiarata contraria al disegno di legge 1335/2019 perché come afferma il presidente Ciro Esposito “rischierebbe anche di creare un pericoloso precedente di disparità di trattamento tra professionisti e sportivi, che in futuro potrebbe ritorcersi contro i pescatori sportivi”.

Crediamo che i pescatori italiani possano farsi un’idea precisa di chi difende realmente, oggi, gli interessi del nostro settore.

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